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Il blog di Nicoletta Niccolai
Pubblicato il giorno lunedì 16 febbraio 2015 17:15
Far vedere i sorci verdi Nel 1936, la 205° squadriglia
della Regia aeronautica (12° Stormo della 3ª Squadra Aerea), che adottava gli
allora potenti e moderni trimotori Savoia Marchetti S.M.79, si servì di uno stemma rappresentato da 3
sorci verdi ritti sulle zampe posteriori. La ebbe tra i piloti anche Bruno
Mussolini, figlio del duce, che gareggiando con altri aviatori riportò diverse
vittorie quali: la corsa aerea Istres - Damasco - Parigi del 1937 o la
trasvolata oceanica Italia Brasile (Guidonia - Dakar- Rio de Janeiro) del 24
gennaio 1938. Dalla popolarità di questa
squadriglia, che spesso dava prova di superiorità, affidabilità e potenza, scaturì
il modo di dire "ti faccio vedere i sorci verdi", come per dire "sto
per batterti". Si dice che sia stato lo stesso
Benito Mussolini a coniare questo modo di dire dicemdo, in occasione della
trasvolata Italia Brasile: "abbiamo fatto vedere i sorci verdi al mondo
intero". Durante la seconda guerra
mondiale, la squadriglia dei sorci verdi partecipò attivamente a molte
missioni. Il 12° Stormo divenne, infatti, da "bombardamento" e il
termine sportivo si tramutò in una minaccia di annientamento.
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Essere un voltagabbana Il dizionario cita:
Il voltagabbana è colui che cambia idee e
schieramento per futili motivi, per paura o per convenienza.
La gabbana era un indumento, un pesante cappotto con l'interno in pelliccia.
Questo capo d'abbigliamento era in dotazione ai militari nel periodo della
prima guerra mondiale ma, era anche utilizzato dai poveri e dai contadini “i
gabbani” da cui derivava il nome. Quando i soldati disertavano, durante la
fuga, indossavano la gabbana al rovescio, per non essere riconosciuti e puniti
per la diserzione.
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Farsi infinocchiare
L’espressione farsi infinocchiare pare abbia origine dal comportamento di
alcuni viticoltori romani, i quali, prima di far
assaggiare il vino ai potenziali clienti, offrivano loro
alcuni semi di finocchio da masticare.
Questi semi lasciavano in bocca un gusto molto aromatico che rendeva saporito
qualunque vino bevuto subito dopo, anche se di scarsa
qualità. Oggi diciamo farsi infinocchiare quando qualcuno è stato imbrogliato.
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Pubblicato il giorno venerdì 9 maggio 2014 14:50
Il Comitato
direttivo del Premio Strega ha selezionato i dodici libri che si contenderanno la sessantottesima edizione tra i 27
presentati dagli Amici
della domenica, ovvero il gruppo fondato nel 1944 da Maria
Bellonci e dal marito Goffredo nella sua casa romana.
Ecco i titoli ed una breve presentazione
Non dirmi
che ho paura Samia è
una ragazzina di Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi
sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e primo, appassionato
allenatore. Mentre intorno la Somalia è sempre più preda dell'irrigidimento
politico e religioso, mentre le armi parlano sempre più forte la lingua della
sopraffazione, Samia guarda lontano, e avverte nelle sue gambe magre e
velocissime un destino di riscatto per il paese martoriato e per le donne
somale. Gli allenamenti notturni nello stadio deserto, per nascondersi dagli
occhi accusatori degli integralisti, e le prime affermazioni la portano, a soli
diciassette anni, a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, ma
diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Il suo vero sogno,
però, è vincere. L'appuntamento è con le Olimpiadi di Londra del 2012. Ma tutto
diventa difficile. Gli integralisti prendono ancora più potere, Samia corre
chiusa dentro un burqa ed è costretta a fronteggiare una perdita lacerante,
mentre il "fratello di tutta una vita" le cambia l'esistenza per
sempre. Rimanere lì, all'improvviso, non ha più senso. Una notte parte, a
piedi. Rincorrendo la libertà e il sogno di vincere le Olimpiadi. Sola,
intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l'odissea dei migranti
dall'Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via
mare in Italia.
Lisario o il piacere infinito delle donne
Lisario Morales è muta a causa di un maldestro intervento
chirurgico, ma legge di nascosto Cervantes e scrive lettere alla Madonna. È
poco più di una bambina quando le propongono per la prima volta il matrimonio:
per sottrarsi a quest'obbligo cade addormentata.
Quando non può opporsi alla violenza degli adulti, infatti, Lisario dorme. E
addormentata da mesi, come la protagonista della più classica delle fiabe, la
riceve in cura Avicente Iguelmano, medico fallito giunto a Napoli per rifarsi
una reputazione.
Tra mille incertezze, pudori, paure, la terapia, al tempo stesso la più
prevedibile come la più illecita, sarà coronata dal successo, e però
spalancherà davanti alla mente del dottore, fragile, superstiziosa, supponente
- in una parola, seicentesca -, un vero e proprio abisso di fantasmi e di
terrori, tutti con una radice comune: il mistero abissale, conturbante,
indescrivibile del piacere femminile, l'incontrollabile ed eversiva energia
delle donne.
L'affresco meraviglioso della Napoli barocca, fra Masaniello e la peste,
riassume la sua forma rutilante, fastosa e miserabile, fosca ed eccessiva,
grazie alla bravura della Cilento, capace di creare sia gli effetti
miniaturistici delle folle di Micco Spadaro, sia la potenza dei chiaroscuri
caravaggeschi. E non a caso si citano questi pittori. Sotto il dominio degli
spagnoli infatti la città raggiunge il massimo del fulgore attirando ricchi
banchieri e pittori di fama, fra cui i due artisti fiamminghi destinati a
ricoprire un ruolo fondamentale nel nostro romanzo: il maestro di scena Jacques
Colmar e Michael de Sweerts. Storia di una donna che scopre il piacere, di un pittore che scopre la
passione, di una città intera che si ribella ai potenti, Lisario o il piacere
infinito delle donne è soprattutto un romanzo di avventure, molto vicino alla
maniera in cui, per l'appunto, si scrivevano nel Seicento, dal Quijote di
Cervantes al Gil Blas de Santillana di Lesage, romanzi epici e picareschi con
apparenti saggi del tutto folli e conclamati pazzi non scevri di qualche saggezza,
fra capipopolo, assassini, ermafroditi, pirati, mercenari del sesso e del
potere, donne mutate in statue e razzismo omosessuale, creature dell'incubo o
del sogno, in una girandola infuocata di invenzioni, tutte attorcigliate
attorno allo stesso interrogativo: ma è del primo Seicento che qui si narra o
di noi e di oggi?
Bella mia 
“Bella
mia”, un libro forte ed emozionante della scrittrice abruzzese Donatella Di
Pietrantonio che dopo il grande successo e i larghi consensi di “Mia madre è un
fiume”, è con questa storia ambientata a L'Aquila tra i dieci finalisti
del Premio Strega. Un romanzo sulla perdita, ma ancora di più sulla
ricostruzione, di una città distrutta ma anche e soprattutto degli affetti più
intimi e profondi. Il libro sarà presentato domani 3 maggio, alle 17.30, nella
sala convegni di Palazzo degli studi a Lanciano. L'iniziativa alla quale sarà
presente l'autrice è inserita nella settimana della cultura frentana ed è
organizzata dall'associazione culturale donne “I colori dell'Iride”. “E' un
ritorno atteso quello della Di Pietrantonio, i suoi libri toccano le corde più
profonde e Bella mia è una storia che arriva al cuore, una storia che
nonostante il tema drammatico del terremoto, della morte – ha sottolineato
Patrizia Di Rocco presidente dell'associazione – non è cupo tanto meno
angosciante, è un libro che apre alla speranza e a una rinnovata fiducia”.
Una storia
Una storia è la storia di un uomo che va in pezzi. Silvano
Landi, scrittore di successo lasciato dalla moglie, alla soglia dei
cinquant’anni finisce in un ospedale psichiatrico. Lo hanno trovato in stato
confusionale su una spiaggia. Sembra non comprendere più la realtà e disegna
ossessivamente due cose che ricorrono nelle sue visioni: una stazione di
servizio e un grande albero spoglio. Landi è affascinato dalle lettere
ritrovate del bisnonno, soldato nella carneficina della Prima guerra mondiale,
che dalle trincee scriveva a casa. Sempre a un passo dalla morte, ma animato da
un’incrollabile volontà di vivere per poter tornare un giorno dalla moglie e
dal figlio.
Come fossi solo
 A Srebrenica l'unico modo per restare innocenti era
morire. Marco Magini era un ragazzino durante i terribili fatti della ex
Jugoslavia, li conosceva solo dai telegiornali. Ma quando da studente si
imbatte nella storia di Dražen quella vicenda diventa un’ossessione. Quella
storia raccontava di un ventenne costretto a combattere una guerra voluta da
un’altra generazione e messo davanti a decisioni che nella loro eccezionalità
mostrano a nudo l’animo umano come in un antico dramma greco. Qui risiede la
forza di questo romanzo che narra la strage di Srebrenica e insieme quella di
molte coscienze costrette a rinunciare a un cammino di giustizia. Così la
scelta di uno dei più drammatici momenti della storia europea recente, insieme
al modo emotivamente coinvolgente di raccontarlo, fanno di questo testo un
testo speciale. La rievocazione del massacro e del successivo processo presso
il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia è affidata a tre voci
che si alternano in una partitura ben scandita. La voce del magistrato spagnolo
Romeo González che rievoca lo svolgersi del processo, evidenziando le
motivazioni non sempre etiche e limpide che determinanouna sentenza. Nell’eterno dibattersi tra
ubbidire a leggi fratricide o ribellarsi appellandosi ai diritti inviolabili
dell’uomo, viene fuori solo un’immagine povera e burocratica dell’esercizio
della legge. Al giudice González si affiancano le voci di Dirk, casco blu
olandese di stanza a Srebrenica, rappresentante del contingente Onu colpevole
di non avere impedito la strage, e quella del soldato serbo-croato Dražen
Erdemović, vero protagonista della storia, volontario nell’esercito serbo, che
fu l’unico a confessare di avere partecipato al massacro, l’unico processato e
condannato. Per innamorarsi ancora del futuro le nuove generazioni dovranno
fare i conti con il passato scomodo di anni a noi vicini.
Nella casa di vetro
 - Cos’è una famiglia felice? È
questa la domanda impellente che Giuseppe Munforte ci pone. Davide, voce
narrante del libro, padre di Andreas e marito di Elena (con la quale cresce
anche una figlia concepita con un altro uomo, Sara) osserva la vita dei suoi
cari con discrezione. Vede Sara che si sistema gli occhiali mentre impara a
leggere una nuova parola, e poi Elena che trattiene il dolore – ma per cosa? –
e non smette di far quadrare la gestione familiare. La casa nella quale
condividono il quotidiano sembra protetta da una bolla di vetro mentre appena
fuori dalla finestra, sulla tangenziale milanese, le macchine sfrecciano in un
frastuono. Ma quella bolla è la voce stessa del narratore a crearla, quasi
volesse posare sulla casa un’aura che la difenda dagli urti col mondo. Davide
si nasconde, forse non c’è, vede soltanto, e si domanda se questa esistenza che
un giorno lasceremo, tutto ciò che abbiamo costruito, le persone che abbiamo
amato, continuerà anche senza di noi. Com’è il mondo quando gli voltiamo le
spalle? Nella casa di vetro è una favola metropolitana, o una preghiera, quella
di un padre, e di un marito, che cerca di conservare ogni attimo d’amore, di
non dissipare il tempo condiviso, perché sa che questo è il solo modo per
riconsegnarli all’eternità.
La vita in tempo di pace 
L'ingegner Ivo Brandani è
sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015,
Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla
vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e
sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina
del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l'inquinamento atmosferico. Nel
limbo sognante di un viaggio di ritorno dall'Egitto, si ricompongono a ritroso
le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda
degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal
servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e
incorruttibile, l'Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche
degli anni Sessanta, la scoperta dell'amore e del sesso, fino ad arrivare al
mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le
sfide della prima infanzia. Chirurgico e torrenziale, divagante e avvincente,
"La vita in tempo di pace" racconta, dal punto di vista di un
antieroe lucidissimo, la storia del nostro Paese e le contraddizioni della
nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel
che ci illudevamo di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo
diventati.
La terra del Sacerdote 
Negli anni ’50 gli italiani migravano in
Germania per cercare occupazione, una nuova speranza. A Stoccarda si lavorava
su ampi appezzamenti di terreno o in fabbrica. Non è mai una vita facile quella
di chi lascia la propria terra per mettere radici provvisorie o definitive
altrove. Ma è anche vero che, chi parte, lo fa per disperazione, per
necessità o per inseguire un sogno. In queste pagine si parla di emigrazione e
ritorno, di colpe e redenzioni. Di conti da regolare, vite da salvare. Di
alberi e di amore sepolto al centro della terra. Però c’è, seppur nascosto.
Paolo Piccirillo, origini casertane, ha 26 anni, ma sfoggia il talento del
narratore esperto e ambizioso, che sa come costruire un intreccio perfetto,
disponendo personaggi e sentimenti senza mai tradirsi. Ha voce originale e
matura, inscenando una frangia umana complessa e contraddittoria. «Vivono tutti
una normalità brutale e il corto circuito che racconto è una specie di
tenerezza che si fa largo nelle loro vite, facendoli reagire in maniera scomposta,
goffa, violenta nel peggiore dei casi. Il tremendo è normale, l’amore è
eccezione. Sono stato a Stoccarda a parlare con le comunità molisane, ho
visitato i loro quartieri, la fabbrica della Mercedes che oggi è un museo. Il
lavoro di documentazione è onestà verso il lettore».
Non è semplice definire questo romanzo che ha il sapore ancestrale della terra,
che dona frutti solo se chi la cura ha il cuore libero dal rimorso e dalla
spietatezza del mondo odierno; una storia che mixa l’avventura di tre italiani
a Stoccarda con un pesante segreto da tacere e il Molise più vicino al nostro
tempo, tra terreni da zappare, pomodori da raccogliere e traffico illegale di
neonati dati alla luce da donne dell’Est, che ne devono partorire quattro prima
di potersi dire nuovamente libere. Piccirillo ha però coniato una definizione
perLa terra del Sacerdote: la vendetta degli alberi.
«Penso che un albero possa scegliere dove far crescere le proprie radici, non è
detto che la vera terra di una radice sia quella in cui è nata. Le radici sono
sopravvalutate, credo sia un meccanismo di difesa per sottovalutare il concetto
di terra. La libertà di scegliersene una propria e non imposta». Accade questo
ad Agapito, detto il Sacerdote, perché a Stoccarda i fedeli andavano da lui a
confessare pene e dolori e lui rispondeva tentando di curare l’anima come si
dovrebbe fare con una pianta. Quando la sua spiritualità si macchia, decide di
fare ritorno a casa. E la terra non risponde, al di là del fatto che non gli
appartenga legalmente. Dà frutti aspri o marci. Neanche l’amore lo anima.
Sposato con Amalia, ora malata terminale, non prova da molto il brivido di una
passione e l’unico istante in cui ha creduto di sentirsi emotivamente vivo è
stato con Christina, causa dell’odierno tormento, tedesca incontrata in
Germania, convinta che sia sem- pre possibile aiutare senza pretendere nulla in
cambio. Non si aiuta per interesse, ma perché si ha speranza, dice lei. E lui,
che ha fatto tesoro di questa massima, cercherà di applicarla per redimersi e
per aiutare una di quelle giovani dell’Est, Flori, che si è messa nelle mani
sbagliate per venire in Italia ed è in Italia che lotterà per rimanere: «Flori
indietro non torna, perché vede la felicità più vicina dove si trova adesso,
prigioniera e vittima, che nel suo passato». Agapito, invece, dovrà fare i
conti proprio con il suo trascorso per potersi finalmente dire sanato e pronto
a fiorire, forse per la prima volta.
Il desiderio di essere come tutti

I funerali di Berlinguer e la scoperta del piacere di
perdere, il rapimento Moro e il tradimento del padre, il coraggio intellettuale
di Parise e il primo amore che muore il giorno di San Valentino, il discorso
con cui Bertinotti cancellò il governo Prodi e la resa definitiva al gene della
superficialità, la vita quotidiana durante i vent'anni di Berlusconi al potere,
una frase di Craxi e un racconto di Carver... Se è vero che ci mettiamo una
vita intera a diventare noi stessi, quando guardiamo all'indietro la strada è
ben segnalata, una scia di intuizioni, attimi, folgorazioni e sbagli: il filo
dei nostri giorni. Francesco Piccolo ha scritto un libro che è insieme il
romanzo della sinistra italiana e un racconto di formazione individuale e
collettiva: sarà impossibile non rispecchiarsi in queste pagine (per affinità o
per opposizione), rileggendo parole e cose, rivelazioni e scacchi della nostra
storia personale, e ricordando a ogni pagina che tutto ci riguarda.
"Un'epoca quella in cui si vive - non si respinge, si può soltanto
accoglierla".
Storia umana e inumana
 Giorgio Pressburger compie con questo libro un
viaggio “dantesco”, conducendo il lettore tra figure storiche, grandi
dittatori, grandi filosofi e grandi artisti, personaggi della Divina Commedia,
protagonisti della contemporaneità come il camorrista Sandokan e Nelson
Mandela, figure amate e rimpiante come il nonno e il fratello Nicola... Tutte
le presenze del libro vengono a costituire una galleria ricchissima e
sfaccettata che impone al protagonista di ripensare alla propria vita
collocandola sia all’interno della storia millenaria del popolo ebraico, sia
sullo sfondo del recente “secolo breve” – quel Novecento che ha segnato la sua
esistenza e che più che mai si è accanito contro i valori supremi cui
Pressburger nonostante tutto crede: l’amore e la libertà. Il dialogo con i
morti, la riflessione sulla storia, l’analisi critica di una realtà caotica e
multiforme si risolvono in visione onirica, ma soprattutto poetica: e
dichiaratamente poetica è infatti la prosa di Pressburger, scandita da spazi
bianchi che accennano a un ritmo di versificazione e invitano a una lettura
“inattuale”, segnalando un progetto letterario contro corrente rispetto alle
tendenze dominanti di questo inizio secolo.
Ovunque proteggici
 In una giornata qualsiasi dei suoi cinquant’anni,
Lorenzo Girosa riceve una lettera in cui qualcuno mostra di conoscere un
segreto che da anni ha smesso di tormentarlo: un delitto commesso quando era
poco piú che bambino. Tentando di riannodare i fili di quell’epoca remota,
Lorenzo racconta della grande villa in cui ha vissuto, generosa negli spazi ma
gravata dalla malasorte di casa senza figli, e della sua famiglia fatta di
uomini inconcludenti e donne compromesse. È la storia del nonno Domenico che cerca
fortuna in America, di suo padre Nicola che senza un mestiere e un talento
diventa un rude saltimbanco chiamato Blacmàn, di sua madre Francesca che scappa
di casa per andare sulla pubblicità del sapone LUX. Tutti loro rivivono nello
sguardo di Lorenzo che, nascosto dietro le tende di una Villa Girosa ormai
deserta, è ben determinato a proteggere quanto di oscuro c’è nel proprio
passato. Con una prosa classica e una lingua di carne,Ovunque, proteggici denuncia
la forza di un destino che è scelta e di un sangue che si riconosce solo nelle
ferite.
Padre infedele Il romanzo racconta le vicende di una famiglia milanese sul cui sfondo
scorre lo scenario desolante di un'Italia travolta dalla crisi economica. La crisi entra con prepotenza nell'intimità di queste persone e ne altera
equilibri e rapporti: il protagonista Glauco, ci porta a vedere il suo album di
foto di famiglia, da quando conosce Giulia, sua moglie, fino ai tre anni di
vita di sua figlia. C'è a chi piace vedere gli album (o i filmini delle vacanze) e a chi no. Aseguito
della depressione post parto che ha reso la moglie Giulia fredda e distante,
comincia a tradirla scoprendo anche al contempo le gioie e le difficoltà
dell'esser padre. La crisi che minaccia il suo ristorante e la sua famiglia gli apre così una
nuova dimensione esistenziale
Ad ogni capitolo Glauco non si limita a farci vedere la foto, a descriverla ma
ci racconta tutto, quello che non si vede, i suoi pensieri, i suoi
ragionamenti, le sue considerazioni sul mondo con lo stile tipico di Scurati (
ma sono i pensieri di Glauco, è lui il quarantenne saturnino, non Scurati anche
se, guarda caso, ha anche lui la stessa età e anche altre similitudini...). Qui si parla di famiglia, di paternità, del modo di oggi di diventare e
essere padre. E' un'esperienza singola di rapporto padre-figlia con madre in
sovrappiù che vorrebbe essere paradigma del rapporto nella nostra epoca in
questa parte di mondo.
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Pubblicato il giorno mercoledì 7 maggio 2014 22:05
Mo Yan è uno pseudonimo inventato dallo
scrittore cinese Guan
Moye in risposta alla
nonna che, quando era piccolo, lo zittiva di continuo. Mo Yan significa: «colui
che non vuole parlare». Fondatore del movimento letterario «Ricerca delle
radici», è considerato il più rilevante scrittore cinese contemporaneo.
La sua scrittura evocativa è lo specchio
dell’’anima senza tempo della grande civiltà cinese, impregnata di poesia, di
violenza, di sentimenti primitivi.
Mo Yan, nasce nel Gaomi nella provincia dello
Shandong, in una famiglia numerosa di poveri contadini e, dopo aver terminato i
cinque anni delle scuole elementari, smette di studiare per cui si dedica a portare al pascolo mucche e pecore e i suoi rapporti con
questi animali sono più frequenti di quelli con le persone. Crescendo, unendosi
agli adulti partecipa alle attività lavorative della comunità. A diciotto anni va a lavorare in una
manifattura di cotone e, nel febbraio del 1976, si arruola nell'esercito. Fa il soldato semplice,
il caposquadra, l'istruttore, il segretario e lo scrittore.
Nel 1997, congedatosi dall'esercito, inizia a
lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di
Letteratura dell'Istituto Artistico dell'Esercito di Liberazione Popolare
(1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso
l'Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Opere pubblicate in Italia: 
Sorgo rosso
Un affresco fiammeggiante di storia cinese, dagli anni Trenta agli anni Settanta, raccontati da un giovane della provincia che ripercorre i drammi, gli amori, i lutti della propria famiglia. Un romanzo che per la sua forza mitica e immaginativa è stato avvicinato a "Cent'anni di solitudine".
L'uomo che allevava i gatti
E' un libro sublime e violento allo stesso tempo. I racconti di Mo Yan, una volta scoperchiati e digeriti, si fanno leggere e rileggere ammalianti. Certi paragrafi assomigliano alle strofe di un lacerante canto popolare, a una di quelle nenie affascinanti e dolorose che risuonano nel profondo come echi di un sentire collettivo antico.
Grande seno, fianchi larghi
Dalla società feudale degli anni Trenta all'odierno capitalismo di stato, passando attraverso sussulti e rivolgimenti dell'era maoista, figli e nipoti degli Shangguan affrontano gioie e dolori dispensati da una terra estrema, primordiale. Con questo romanzo, censurato in patria per l'esplicita crudezza delle testimonianze che riporta e i suoi toni corrosivi e grotteschi, Mo Yan torna al grande affresco rurale e mitologico che aveva reso celebre Sorgo rosso.
Le sei reincarnazioni di
Ximen Nao.
Nei cinquant'anni che trascorre sulla terra reincarnandosi di volta in volta in asino, toro, maiale, cane, scimmia e infine di nuovo essere umano, il proprietario terriero Ximen Nao viene coinvolto nelle vicende più drammatiche della Cina moderna: dalla riforma agraria al Grande balzo in avanti, dalle Comuni alla Rivoluzione Culturale sino alla morte di Mao Zedong e alle innovazioni del recente passato. Un'avventura tragicomica lunga mezzo secolo, ricca di invenzioni e popolata di personaggi straordinari.
Delle sue undici novelle si ricordano Felicità,
Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il
cane e l'altalena e Il
fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di
racconti L'uomo che allevava i gatti
Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature
cinematografiche come Sorgo rosso, Il sole ha
orecchie, Addio mia concubina.
 
Il film Sorgo rosso (con la regia di Zhāng Yìmóu) è stato
premiato con l'Orso d'Oro al Festival del Cinema di Berlino. Il film Il
sole ha orecchie è
stato premiato con l'Orso d'Argento al Festival del Cinema di Berlino.
Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino
per la sua intera opera. Nel 2012 vince
il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: "who with
hallucinatory realism merges folk tales, history and the contemporary" (con realismo allucinatorio fonde fiabe popolari, storia e
contemporaneità).
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Pubblicato il giorno lunedì 3 febbraio 2014 00:18
L’immagine del lupo nella lingua italiana Sono partita da una ricerca del modo di
dire: IN BOCCA AL LUPO, trovando, tra l’altro, questa spiegazione nel vocabolario della Crusca: L'augurio In bocca al lupo! potrebbe essere
ricollegato anche ad altre numerose espressioni che hanno per protagonista il
lupo, nonché all'immagine stessa di questo animale nella lingua. Il lupo appare
nella tradizione antica e medioevale come il pericolo in persona: animale
crudele, falso e insaziabile nella sua voracità egli seminò la morte e il
terrore tra abitanti indifesi, pastori e cacciatori, diventando l'eroe di
favole (da Esopo e La Fontaine alle numerose versioni del Cappuccetto Rosso)
nonché di numerose leggende e storie tramandate per generazioni attraverso
l'Europa: basti limitarsi all'immagine celebre del Lupo di Gubbio dei Fioretti
di S. Francesco o alla figura di Ysengrin, il lupo del Roman de Renart francese
del XII s.. Della visione quasi apocalittica del lupo e delle paure che egli
incuteva per secoli agli abitanti dell'Europa, che fossero contadini viventi in
mezzo alle foreste o viaggiatori costretti a spostarsi per strade infestate da
lupi e banditi, permangono delle tracce in varie lingue europee sotto la forma
di modi di dire e proverbi.
Già il Vocabolario degli Accademici della Crusca nella sua prima edizione del
1612 definisce il lupo come 'animal salvatico voracissimo', citando tra l'altro
l'espressione gridare al lupo e proverbi quali il lupo cangia il pelo ma non il
vezzo e chi pecora si fa il lupo se la mangia. Nella sua terza edizione il
Vocabolario riporta l'espressione 'andare in bocca al lupo' con il significato
'andare nel potére del nimico, incontrare da sé il pericolo' citandone il
seguente esempio tratto da Guittone d'Arezzoe datato 1294: «Ma la povera
femmina, accostandosi a quell'huomo, si accorse d'essere andáta in bocca al
lupo». Continuando a leggere mi hanno incuriosito
le varie espressioni, frasi e proverbi collegate a questo animale sempre,
purtroppo, in senso negativo infatti viene descritto:
- pericoloso e violento: gridare al lupo; anche nelle minacce,
specie rivolte ai bambini: il lupo ti mangia; guarda che viene il lupo!
- furbo e perseverante nel vizio: il lupo perde il pelo ma non il
vizio
- spietato per chi è debole: Trovarsi come un agnello tra i lupi;
Chi pecora si fa il lupo se la mangia
- fedele al suo branco: lupo non mangia lupo
- insaziabile, affamato (con valore di intensità): una fame da
lupi, la fame caccia il lupo dal bosco
- spesso ridotto in cattive condizioni (con valore di intensità):
tempo da lupi.
Espressioni
analoghe si ritrovano in varie altre lingue europee, testimoniando di una
relativa omogeneità nella visione dell'animale sul continente; così
- in francese: se précipiter dans la gueule du loup ('precipitarsi
in bocca al lupo'); crier au loup ('gridare al lupo'); la faim fait sortir le
loup du bois ('la fame fa uscire il lupo dal bosco'); les loups ne se mangent
pas entre eux (lett. 'i lupi non si mangiano tra di loro',
- 'lupo non mangia
lupo'); anche con valore intensificatore: une faim, un froid de loup ('una
fame, un freddo da lupi')
- in
inglese: cry wolf ('gridare al lupo'); hold a wolf by the ears ('tenere il lupo
per le orecchie'); keep the wolf from the door (lett. 'tenere
il lupo lontano dalla porta', ovvero 'avere abbastanza denaro per
sopravvivere'); wolf in sheep's clothing ('lupo in veste di agnello', per
significare una persona falsa, furba, infida);
- tedesco: ein Wolf im Schafspelz ('lupo in veste di agnello');
anche con valore di intensità: hungrig wie en Wolf ('affamato come un
lupo')
- polacco: patrzeć wilkiem ('guardare in cagnesco', lett. "in
lupesco"); ciągnie wilka do lasu ('la foresta attira il lupo', ovvero 'il
male attira il male'); nie wywołuj wilka z lasu ('non chiamar fuori il lupo del
bosco', ovvero 'non attirare il pericolo'; wilk w owczej skórze (lett. 'lupo in
pelle di pecora', 'lupo in veste di agnello'); opowiadać bajki o żelaznym wilku
('raccontare favole sul lupo in ferro', ovvero 'dire cose incredibili,
insensate').
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Pubblicato il giorno giovedì 9 gennaio 2014 17:21
Susan Elizabeth George (Warren 26 febbraio 1949) è una scrittrice
statunitense, specializzata nel romanzo giallo. Nonostante sia nata e viva in america, ambienta i
suoi romanzi in Inghilterra, preferendo una Londra nebbiosa e brughiere o
campagne fredde, uggiose o battute dal vento. Con i romanzi della serie Lynley ha costruito una
specie di saga a puntate con un paio di protagonisti principali che il lettore
non può far a meno di imparare ad amare. Non vi svelo chi sono, preferisco che
siate voi a scoprirli e a dare dei giudizi, vi anticipo silo che ho trovato i
suoi libri scorrevoli, avvincenti, ben congegnati. Elizabeth oltre ad essere
una buona descrittrice di luoghi e persone è anche una sapiente indagatrice
psicologica. Serie sull'Ispettore Lynley
1. 1988 E liberaci dal padre
2. 1989 La miglior vendetta 3. 1990 Scuola omicidi 4. 1991 Il lungo ritorno 5. 1992 Per amore di Elena 6. 1993 Dicembre è un mese crudele 7. 1994 Un pugno di cenere 8. 1996 In presenza del medico 9. 1997 Il prezzo dell’inganno 10. 1999 Il morso del serpente
11. 2001 Cercando nel buio
12. 2005 Nessun testimone
13. 2006 Prima di ucciderla
14. 2008 La donna che vestiva di rosso
15. 2010 Questo corpo
mortale
16. 2012 Un castello di
inganni 17. 2013 Just One Evil Act
Altri romanzi ·
1999 - The Evidence Exposed ·
2002 Agguato sull’isola ·
2001 Un omicidio inutile
Saggistica ·
3004 Write
Away: One Novelist's Approach to the Novel
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Pubblicato il giorno giovedì 5 dicembre 2013 17:03
Ogni scritto letterario viene catalogato in un preciso
genere che ne rende più efficace la ricerca e la critica. Tre sono le categorie principali: poesia, prosa e teatro. Per ciò che riguarda la prosa vi sono un’infinità di
sottogeneri molti dei quali, a loro volta, divisi in settori. Oggi mi limiterò ad una breve descrizione delle categorie primarie ovvero di quelle che
ogni lettore conosce bene quando va alla ricerca dei suoi libri preferiti; nei
prossimi blog analizzerò con più cura tutte le loro sfumature. SAGGIO Descrizione e ricerca accurata sulla vita di un personaggio
storico o famoso o anche trattato su un
argomento culturale (scientifico, filosofico, musicale ecc) Esempio: I SEGRETI EL VATICANO  Il termine
"Vaticano" evoca immediatamente l'immagine dell'immensa piazza
antistante la basilica di San Pietro e il monumentale colonnato che
l'abbraccia. Tra i fedeli cattolici evoca anche la finestra da cui il papa
benedice la folla festante. Ma il Vaticano è molto di più. Stato di diritto tra
i più piccoli al mondo, minuscola città dentro la vasta città di Roma, di cui
ha condiviso le vicissitudini e di cui costituisce "l'altra faccia",
ha una lunghissima storia, ricca di chiaroscuri e di personaggi più o meno
limpidi. E insieme a incredibili tesori artistici, custodisce nei suoi palazzi
molti segreti legati a vicende antiche, recenti e contemporanee. Si inizia con
Nerone e i primi cristiani sullo sfondo della Roma imperiale per passare poi a
Costantino: la sua famosa e apocrifa donazione al papa ha per secoli
rappresentato l'atto di nascita del potere temporale della Chiesa. La galleria
dei personaggi è ricchissima. Oltre a templari, gesuiti, inquisitori e membri
della potente Opus Dei, ci sono, naturalmente, i papi. E con loro gli artisti,
ingaggiati per testimoniare, più che la gloria del Creatore, quella del
committente. Un tratto sembra legare, agli occhi dell'autore, tutte queste
vicende, le più antiche e le più recenti: la commistione fra cielo e terra, fra
spiritualità e potere temporale, e il prezzo altissimo che la Chiesa cattolica,
unica religione fattasi Stato, ha pagato e paga nel tentativo di conciliare due
realtà difficilmente compatibili.
FANTASTICO Racchiude tutte le opere che hanno ben poco a che fare con
la realtà in cui dominano magia e gli eventi inspiegabili. Esempio: IL PRINCIPE RANOCCHIO Una principessa perde la sua palla d'oro
nell'acqua di una fonte. Un ranocchio parlante la ripesca, ma solo in cambio
della sua amicizia...
GOTICO Se aprite un libro catalogato in questo genere, avrete a che
fare con spiriti, fantasmi, vampiri e creature
mostruose. Esempio DRACULA
Scritto in forma di stralci
di diari e di lettere, Dracula è uno degli ultimi, se non l'ultimo,
tra i grandi romanzi gotici. Riprendendo il mito del vampiro,
lanciato nella letteratura da John William Polidori,
Stoker realizza un romanzo dalle atmosfere cupe e oscure, in cui l'orrore e la
minaccia, sempre ben presenti, assillano i protagonisti, in un crescendo
rossiniano di emozioni che conduce alla scoperta dell'orrore rappresentato dal
tetro vampiro.
HORROR Per gli amanti del macabro e per chi gode nel provare
brividi di paura. Esempio: SHINING
Jack
Torrance, a causa di un recente passato da alcolista e una naturale
inclinazione alla violenza ereditata dal padre, naviga in cattive acque, e per
mantenere la famiglia è costretto ad accettare un lavoro come guardiano
invernale di un albergo aperto solo per pochi mesi all’anno. L’Overlook Hotel,
infatti, d’estate gode della spettacolare vista delle montagne del Colorado, ma
d’inverno è quasi totalmente isolato dal resto del mondo a causa della neve.
Jack dovrà passare in questo famoso albergo più o meno sette mesi, da ottobre
ad aprile, in compagnia della moglie Wendy e del figlio Danny di 5 anni
GIALLO Crimine, indagini ed anche suspense, suddivisi in varie
sfumature che arrivano fino al noir. Esempio:
MISS MARPLE NEI CARAIBI 
Miss Marple si trova in
vacanza, gentilmente offerta da suo nipote Raymond, in una piccola isola dei
Caraibi. Passa le sue giornate riposando, lavorando a maglia, ammirando le
altre persone in vacanza e, naturalmente, spettegolando un po'.
Tra le persone
forse più noiose c'è il maggiore Palgrave, e Miss Marple si trova spesso ad
ascoltare le sue lunghissime e vecchie storie di caccia e di avventura. Un
giorno stà raccontandole una storia ancora più incredibile: conosce una persona
che ha commesso un delitto, anzi ne ha addirittura una foto. Stà per fargliela
vedere, quando, in seguito al sopraggiungere di alcuni ospiti, cambia
improvvisamente argomento, e colore della faccia.
Miss Marple si
prefigge di proseguire l'interessante racconto in un altro momento, ma non ne
ha il tempo in quanto il maggiore, dopo una serata passata a festeggiare in
compagnia di parecchi alcoolici, nella notte muore improvvisamente di infarto;
pare che soffrisse di pressione alta, e l'alcool potrebbe essere stato decisivo.
Ma Miss Marple non
è soddisfatta, ed inizia cautamente ad indagare. I suoi sospetti si rilevano
fondati: non solo il maggiore non è morto di infarto, anzi è stato
deliberatamente avvelenato, ma ben presto l'assassino colpisce ancora altre due
volte. E sarà solo grazie alla grande abilità di Miss Marple se si riuscirà a
smascherarlo prima che riesca ad eseguire ancora l'ennesimo delitto…
EPICO L'epica narra vicende appartenenti al passato,
facendo ricorso al mito, per dare nobiltà alla narrazione. Essa esalta uomini o
popoli con determinati valori, come il coraggio, la lealtà, la forza. Frequentemente
le vicende ruotano attorno alla figura dell'eroe, dotato di sentimenti e
qualità spesso portate all'esasperazione. Esempio: ODISSEA L’avventura, la conoscenza, la tentazione, il coraggio.
Dalla fuga dall’isola di Calipso all’arrivo a Itaca, alla strage di Proci, la
vicenda narrata nell’Odissea è
divenuta l’archetipo universale del viaggio di scoperta e ritorno alle origini:
un classico senza tempo, che parla al cuore e all’anima di ogni essere umano.
Nella famosa traduzione ottocentesca di Ippolito Pindemonte, qui riproposta con
le annotazioni e un’introduzione inedita di Michele Mari, la magia del
capolavoro omerico si fonde con la qualità letteraria del romanticismo italiano.
Oltre a questi generi principali ve ne sono altri che
riassumo così.
romanzo d'appendice (ovvero a puntate); romanzo di formazione (società/individuo) romanzo rosa, romanzo sociale romanzo verista romanzo psicologico
Per non confondervi troppo le idee rimando, alle
prossime trattazioni, la descrizione di ogni singola categoria.
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Pubblicato il giorno venerdì 25 ottobre 2013 21:57
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Pubblicato il giorno giovedì 17 ottobre 2013 16:29
Ve lo
figurate vostro figlio mentre tenta di scrivere usando un pennino? E voi lo
ricordate? Eppure è
stato lo strumento di scrittura, nelle nostre scuole, fino agli anni 60. Severi maestri erano ben attenti che sui
compiti non vi fossero sbaffi, sgorbi e soprattutto macchie.
Ho accennato al signor pennino in un post precedente ma, ora desidero darvi
maggiori dettagli su questo piccolo oggetto.
I primi ad usarlo furono gli Egizi
Nella tomba del faraone Ramsete II ne sono stati trovati di vecchi
di 3300 anni ma per sentirne parlare bisognerà far passare un bel po’ di tempo. Nel el 1691 le religiose di Port
Royal usavano pennini di rame che fabbricavano da sé. Nel 1717 i verbali degli
stati generali dei Paesi Bassi, venivano redatti con pennini di forma tubolare
in argento, montati su cilindri/penne anch'essi d’argento. Il 26/11/1738,
Voltaire scrive a Thierot per fare una ordinazione di pennini d’oro. Nel 1763,
la principessa di Carignano offre al piccolo Mozart pennini d’argento per il
suo settimo compleanno…!
 Però non era
un’abitudine di massa ma un uso d’élite per cui sino al 1800 si continuò ad
usare l’elegante, signorile e maneggevole penna d’oca. Al suo apparire pubblico, mister pennino
suscitò parecchie polemiche: è un oggetto freddo, sembra un piccolo pugnale, ha
la lingua biforcuta. Jules Janin nel 1857 lo malediceva,
imputandogli di esser causa dei mali della società moderna, assieme al primo
uomo che lo trasse dal vile ferro… e così che siate entrambi maledetti …
(sembra di essere nel nostro tempo vero?) Ma chi può fermare il profresso? Il
pennino svolse il suo ruolo per circa un secolo, molto poco in confronto alla
penna d’oca, però contribuì a salvare molti volatili dalla spennatura. Ma
approfondiamo ancora un po’ 
I primi
pennini artigianali nacquero a Birmingham, in Inghilterra. Gillot, Mason,
Mitchell, e Perry sono i loro inventori. Gillot in particolare, grazie al suo
apprendistato con il celebre coltellinaio Skinner, godette di un gran
vantaggio: era in grado di conoscere e poi mantenere a lungo il segreto del
procedimento industriale di fusione, tempra e laminazione dei metalli. Riuscì
così a sfruttare appieno i nuovi macchinari. Presse a bilancere, trance e
macchine a vapore fisse comprese, con la loro velocità e instancabilità. Il
prezzo di questi piccoli manufatti industriali risultò così enormemente
inferiore rispetto a quelli costruiti artigianalmente, basti considerare che
una confezione di 144 di questi pennini (detta grossa), costava quanto uno solo
realizzato artigianalmente!
In Inghilterra sorsero le dinastie del pennino mentre in Europa si procedette
con più lentezza, in Francia vennero importati da Pierre Blanzy che capendone l’importanza e la potenzialità industriale
strinse accordi tecnico commerciali coi più importanti produttori britannici. La
consevatrice Germania partì più tardi (1905) tedeschi furono più lenti e
conservatori, complice anche l’immenso numero di oche che vivevano sul
territorio e che non costavano praticamente nulla…
 In Italia occorrerà invece attendere dopo il 1920 quando, l’autarchia del
regime, si estenderà anche a questo modesto prodotto, una produzione
industriale non disgiunta dalla ricerca del consenso anche nelle piccole cose .
E l’America? L’america si svegliò, per così dire, solo dopo la prima guerra
mondiale. Ma che risveglio! Lanciarono, come nel loro stile, una aggressiva e
vincente campagna a base di penne stilografiche e di macchine da scrivere! Il pennino
zoppicò un po’ ma non morì, anzi si estese anche in Cina e in Giappone, patrie
del pennello. Sapete come
si fabbricava un pennino? Si partiva
da laminati (l’acciaio migliore per i pennini arrivava da Sheffield (GB) e con
una tonnellata se ne producevano circa 1.700.000 pezzi) di spessore variabile
da 1 a 3 millimetri e su queste strisce si disegnavano i pezzi che venivano
successivamente tranciati, sagomati, forati, stampigliati, incurvati,
sgrassati. Alla punta veniva poi saldato un grano di iridio o di osmio iridio
(metalli particolarmente resistenti, ricordiamo il brevetto “osmiroid”, lega
praticamente indistruttibile), infine le punte stesse sono tagliate,
rettificate, levigate, pulite e brillantate. Il pennino era così pronto per il
commercio.  Del pennino vi sono state oltre 10.000 varianti. Moda, tecnica, fantasia,
creazioni tecnologiche e studi di forme, tutto era preso ad ispirazione e se ne
vantava la superiorità, promuovendo ora questa ora quello!
Si arrivò a produrre pennini con nomi più o meno importanti, con materiali
fantasiosi e più diversi, si produssero anche penne in vetro, pennini con forme
più varie (famosi quelli a manina e dito, con torri, ecc…), fino ad arrivare a
pennini protesi per combattere il crampo dello scrittore e a pennini conici i
cui fianchi parevano pettini per baffi
Questa
realtà pareva proprio non dovesse tramontare mai, vista la fantasia dei
produttori e il basso costo unitario del pennino, che poteva essere
tranquillamente abbinato ad una semplice cannuccia di legno. Vi erano però
anche pennini d’oro e d’argento, con altrettanto pregiati steli o cannucce
(stilofori) in cui inserirli. Anche le pietre preziose erano usate, come le
lavorazioni filigrèe, veramente affascinanti alla vista.
Ovviamente tutto ciò
era riservato ai più abbienti.
Ma quello che all’inizio non era riuscito all’America, meglio riuscì ad un tale
chiamato Laslo Biro e cominciò un’altra era.
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Pubblicato il giorno mercoledì 18 settembre 2013 22:45
Elizabeth George è nata il
26 febbraio del 1949 a Warren, Ohio.
Si è laureata alla
University of California a Riverside. Ha inoltre frequentato la California
State University di Fullerton, dove ha conseguito un master in Counseling /
Psicologia e un dottorato onorario in lettere umanistiche. Professionalmente, ha iniziato come insegnante: era
impiegata presso Mater Dei High School di Santa Ana ma è stata licenziata insieme ad altri dieci
insegnanti per attività sindacale. Si è trasferita alla High School di El Toro,
California (ora chiamato Lake Forest ), dove è rimasta per il resto della sua carriera di insegnante
di inglese che è terminata dopo tredici anni in occasione dell’uscita del suo
primo romanzo: A Great Deliverance (E
liberaci dal padre), Ha vinto il Premio Anthony, il Premio Agatha, e il francese
Le Grand Prix de Letteratura policière proprio per il suo primo romanzo. Le versioni televisive di quasi tutti i suoi libri sono
state trasmesse dalla BBC in una serie: Il mistero PBS. La maggior parte dei suoi romanzi sono stati girati per la
televisione per la BBC e sono stati trasmessi negli Stati Uniti il mistero di PBS.
1988 E liberaci dal padre (A Great
Deliverance)
1989 La miglior vendetta (Payment
in Blood 1990 Scuola omicidi (Well-Schooled
in Murder 1991 Il lungo ritorno (A Suitable
Vengeance) 1992 Per amore di Elena (For the
Sake of Elena 1993 Dicembre è un mese crudele (Missing
Joseph 1994 Un pugno di cenere (Playing
for the Ashes 1996 In presenza del nemico (In
the Presence of the Enemy) 1997 Il prezzo dell’inganno (Deception
on His Mind) 1999 Il morso del serpente (In Pursuit of the Proper Sinner) 2001 Cercando nel buio (A Traitor
to Memory) 2001 Un omicidio inutile
(I, Richard), 2003 Agguato sull’isola (A Place of Hiding) 2005 Nessun testimone (With No One as Witness) 2006 Prima di ucciderla (What Came Before He Shot Her) 2008 La donna che vestiva di rosso (Careless
in Red) 2010 Questo corpo mortale (This Body of Death)
 Quando il
corpo di una giovane donna, colpito da numerose coltellate, viene rinvenuto in
un isolato cimitero di Londra, Lynley e la sua squadra sono chiamati a
intervenire. Ma questo non è un caso come gli altri: li condurrà infatti dalle
cupe periferie londinesi allo Hampshire, una zona dell’Inghilterra sconosciuta
ai più, un luogo bello e al tempo stesso inquietante, dove gli animali vagano
liberi per le strade, i tetti sono ancora di paglia e gli estranei non sono i
benvenuti. Una zona che nasconde segreti tragici, crudeli, efferati. Cosa ha
portato la vittima dalla serenità apparente dello Hampshire alla caleidoscopica
confusione di Londra, e chi poteva volere la sua morte? Sono troppi, e spesso
misteriosi, i personaggi che si muovevano nella sua orbita: una pittoresca
sensitiva, un violinista visionario che sente le voci degli angeli, un artista
di strada che colleziona amanti; oltre a un ex fidanzato dal passato oscuro...
Un puzzle intricato e sconvolgente, strutturato per condurre il lettore fino
alla fine del romanzo con il fiato in gola. "Vide il cadavere, quello di
una giovane donna, semisdraiata contro il muro; la posizione suggeriva che
avesse inciampato all’indietro mentre veniva aggredita e fosse poi scivolata
lungo la parete. Sopra il corpo c’era un disegno, un occhio dentro un triangolo
con la scritta «Dio è wireless». Il pavimento di pietra era disseminato di
pacchetti di patatine vuoti, involucri di barrette di cioccolato, panini e
lattine vuote di Coca-Cola. C’era anche una rivista pornografica, più recente
del resto di quella spazzatura, perché sembrava pulita e non era spiegazzata.
Era aperta sull’inimagine del pube di una donna dalle labbra rosse che
indossava stivali di cuoio, un cappello a cilindro, e nient’altro. Che posto
ignobile per morire, pensò...".
2012 Un castello di inganni (Believing
the Lie) 2013 Just One Evil Act t (Pubblicazione
prevista per il mese di ottobre 2013)
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Pubblicato il giorno lunedì 19 agosto 2013 15:38
Avete mai riflettuto sull’importanza delle immagini che
illustrano una favola? All’influenza dell’approccio visivo e ai sentimenti che
può scatenare nella fantasia e nell’inconscio di un bambino? Ho preso in considerazione alcuni disegni che raffigurano l’incontro
tra Cappuccetto rossi e il lupo e ho cercato di analizzarle senza badare al
segno grafico e al mio gusto artistico.
1)
Cappuccetto
ed il lupo si squadrano con leggera curiosità, non trapelano altri sentimenti,
la scena è chiara, il bosco rado ed illuminato, non c’è tensione.
2)
Qui la bambina è intimidita, il lupo fa intravvedere
i canini e ha la lingua fuori. Anche lo sguardo dell’animale non è amichevole,
inoltre la bestia sbuca da un fondo nero e la postura del corpo sembra voler
avvolgere l’ingenua, paffuta Cappuccetto. Brividini.
3)
Lupo filone, ghigno furbastro, occhietto che
dice: “ Adesso t’arrangio io cocchetta bella” e scodinzolio di bianca, angelica
coda. Cappuccetto è allegra, sembra stia parlando con il lupo ma, i suoi occhi
sono voltati dalla parte opposta, verso la coda del lupo o verso il gufetto?
Gufo saggio che la sta mettendo in
guardia?
4)
Cappuccetto non è una bambinella, è una graziosa
ragazzina che pare tranquilla alla vista di un lupo con atteggiamento da
pecorella: schiena arcuata, passo strisciante, coda bassa. Ma, la giovanetta si
stringe il soprabito rosso, quasi a difendersi e si para la schiena contro l’unico
albero.
5)
Ma questi due sono amici: una graziosa bambina
che gioca col suo cagnolino : “Vai prendi il legnetto?”
Sinceramente è l’immagine
che preferisco, non mi sono mai piaciute le favole cruente, quelle che incutono
terrore e non ho mai amato i cacciatori e i lupi che mangiano le nonne.
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