Finalisti premio STREGA 2014


Il Comitato direttivo del Premio Strega ha selezionato i dodici libri che si contenderanno la sessantottesima edizione tra i 27 presentati dagli Amici della domenica, ovvero il gruppo fondato nel 1944 da Maria Bellonci e dal marito Goffredo nella sua casa romana.
Ecco i titoli ed una breve presentazione

Non dirmi che ho paura
Samia è una ragazzina di Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e primo, appassionato allenatore. Mentre intorno la Somalia è sempre più preda dell'irrigidimento politico e religioso, mentre le armi parlano sempre più forte la lingua della sopraffazione, Samia guarda lontano, e avverte nelle sue gambe magre e velocissime un destino di riscatto per il paese martoriato e per le donne somale. Gli allenamenti notturni nello stadio deserto, per nascondersi dagli occhi accusatori degli integralisti, e le prime affermazioni la portano, a soli diciassette anni, a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Il suo vero sogno, però, è vincere. L'appuntamento è con le Olimpiadi di Londra del 2012. Ma tutto diventa difficile. Gli integralisti prendono ancora più potere, Samia corre chiusa dentro un burqa ed è costretta a fronteggiare una perdita lacerante, mentre il "fratello di tutta una vita" le cambia l'esistenza per sempre. Rimanere lì, all'improvviso, non ha più senso. Una notte parte, a piedi. Rincorrendo la libertà e il sogno di vincere le Olimpiadi. Sola, intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l'odissea dei migranti dall'Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia.
Lisario o il piacere infinito delle donne

Lisario Morales è muta a causa di un maldestro intervento chirurgico, ma legge di nascosto Cervantes e scrive lettere alla Madonna. È poco più di una bambina quando le propongono per la prima volta il matrimonio: per sottrarsi a quest'obbligo cade addormentata. Quando non può opporsi alla violenza degli adulti, infatti, Lisario dorme. E addormentata da mesi, come la protagonista della più classica delle fiabe, la riceve in cura Avicente Iguelmano, medico fallito giunto a Napoli per rifarsi una reputazione. Tra mille incertezze, pudori, paure, la terapia, al tempo stesso la più prevedibile come la più illecita, sarà coronata dal successo, e però spalancherà davanti alla mente del dottore, fragile, superstiziosa, supponente - in una parola, seicentesca -, un vero e proprio abisso di fantasmi e di terrori, tutti con una radice comune: il mistero abissale, conturbante, indescrivibile del piacere femminile, l'incontrollabile ed eversiva energia delle donne. L'affresco meraviglioso della Napoli barocca, fra Masaniello e la peste, riassume la sua forma rutilante, fastosa e miserabile, fosca ed eccessiva, grazie alla bravura della Cilento, capace di creare sia gli effetti miniaturistici delle folle di Micco Spadaro, sia la potenza dei chiaroscuri caravaggeschi. E non a caso si citano questi pittori. Sotto il dominio degli spagnoli infatti la città raggiunge il massimo del fulgore attirando ricchi banchieri e pittori di fama, fra cui i due artisti fiamminghi destinati a ricoprire un ruolo fondamentale nel nostro romanzo: il maestro di scena Jacques Colmar e Michael de Sweerts. Storia di una donna che scopre il piacere, di un pittore che scopre la passione, di una città intera che si ribella ai potenti, Lisario o il piacere infinito delle donne è soprattutto un romanzo di avventure, molto vicino alla maniera in cui, per l'appunto, si scrivevano nel Seicento, dal Quijote di Cervantes al Gil Blas de Santillana di Lesage, romanzi epici e picareschi con apparenti saggi del tutto folli e conclamati pazzi non scevri di qualche saggezza, fra capipopolo, assassini, ermafroditi, pirati, mercenari del sesso e del potere, donne mutate in statue e razzismo omosessuale, creature dell'incubo o del sogno, in una girandola infuocata di invenzioni, tutte attorcigliate attorno allo stesso interrogativo: ma è del primo Seicento che qui si narra o di noi e di oggi?
Bella mia

“Bella mia”, un libro forte ed emozionante della scrittrice abruzzese Donatella Di Pietrantonio che dopo il grande successo e i larghi consensi di “Mia madre è un fiume”, è con questa storia ambientata a L'Aquila tra i dieci finalisti del Premio Strega. Un romanzo sulla perdita, ma ancora di più sulla ricostruzione, di una città distrutta ma anche e soprattutto degli affetti più intimi e profondi. Il libro sarà presentato domani 3 maggio, alle 17.30, nella sala convegni di Palazzo degli studi a Lanciano. L'iniziativa alla quale sarà presente l'autrice è inserita nella settimana della cultura frentana ed è organizzata dall'associazione culturale donne “I colori dell'Iride”. “E' un ritorno atteso quello della Di Pietrantonio, i suoi libri toccano le corde più profonde e Bella mia è una storia che arriva al cuore, una storia che nonostante il tema drammatico del terremoto, della morte – ha sottolineato Patrizia Di Rocco presidente dell'associazione – non è cupo tanto meno angosciante, è un libro che apre alla speranza e a una rinnovata fiducia”.

Una storia
Una storiaè la storia di un uomo che va in pezzi. Silvano Landi, scrittore di successo lasciato dalla moglie, alla soglia dei cinquant’anni finisce in un ospedale psichiatrico. Lo hanno trovato in stato confusionale su una spiaggia. Sembra non comprendere più la realtà e disegna ossessivamente due cose che ricorrono nelle sue visioni: una stazione di servizio e un grande albero spoglio. Landi è affascinato dalle lettere ritrovate del bisnonno, soldato nella carneficina della Prima guerra mondiale, che dalle trincee scriveva a casa. Sempre a un passo dalla morte, ma animato da un’incrollabile volontà di vivere per poter tornare un giorno dalla moglie e dal figlio.
Come fossi solo

A Srebrenica l'unico modo per restare innocenti era morire.
Marco Magini era un ragazzino durante i terribili fatti della ex Jugoslavia, li conosceva solo dai telegiornali. Ma quando da studente si imbatte nella storia di Dražen quella vicenda diventa un’ossessione. Quella storia raccontava di un ventenne costretto a combattere una guerra voluta da un’altra generazione e messo davanti a decisioni che nella loro eccezionalità mostrano a nudo l’animo umano come in un antico dramma greco. Qui risiede la forza di questo romanzo che narra la strage di Srebrenica e insieme quella di molte coscienze costrette a rinunciare a un cammino di giustizia. Così la scelta di uno dei più drammatici momenti della storia europea recente, insieme al modo emotivamente coinvolgente di raccontarlo, fanno di questo testo un testo speciale. La rievocazione del massacro e del successivo processo presso il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia è affidata a tre voci che si alternano in una partitura ben scandita. La voce del magistrato spagnolo Romeo González che rievoca lo svolgersi del processo, evidenziando le motivazioni non sempre etiche e limpide che determinanouna sentenza. Nell’eterno dibattersi tra ubbidire a leggi fratricide o ribellarsi appellandosi ai diritti inviolabili dell’uomo, viene fuori solo un’immagine povera e burocratica dell’esercizio della legge. Al giudice González si affiancano le voci di Dirk, casco blu olandese di stanza a Srebrenica, rappresentante del contingente Onu colpevole di non avere impedito la strage, e quella del soldato serbo-croato Dražen Erdemović, vero protagonista della storia, volontario nell’esercito serbo, che fu l’unico a confessare di avere partecipato al massacro, l’unico processato e condannato. Per innamorarsi ancora del futuro le nuove generazioni dovranno fare i conti con il passato scomodo di anni a noi vicini.
Nella casa di vetro

- Cos’è una famiglia felice? È questa la domanda impellente che Giuseppe Munforte ci pone. Davide, voce narrante del libro, padre di Andreas e marito di Elena (con la quale cresce anche una figlia concepita con un altro uomo, Sara) osserva la vita dei suoi cari con discrezione. Vede Sara che si sistema gli occhiali mentre impara a leggere una nuova parola, e poi Elena che trattiene il dolore – ma per cosa? – e non smette di far quadrare la gestione familiare. La casa nella quale condividono il quotidiano sembra protetta da una bolla di vetro mentre appena fuori dalla finestra, sulla tangenziale milanese, le macchine sfrecciano in un frastuono. Ma quella bolla è la voce stessa del narratore a crearla, quasi volesse posare sulla casa un’aura che la difenda dagli urti col mondo. Davide si nasconde, forse non c’è, vede soltanto, e si domanda se questa esistenza che un giorno lasceremo, tutto ciò che abbiamo costruito, le persone che abbiamo amato, continuerà anche senza di noi. Com’è il mondo quando gli voltiamo le spalle? Nella casa di vetro è una favola metropolitana, o una preghiera, quella di un padre, e di un marito, che cerca di conservare ogni attimo d’amore, di non dissipare il tempo condiviso, perché sa che questo è il solo modo per riconsegnarli all’eternità.
La vita in tempo di pace

L'ingegner Ivo Brandani è sempre vissuto in tempo di pace. Quando il libro comincia, il 29 maggio 2015, Ivo ha sessantanove anni, è disilluso, arrabbiato, morbosamente attaccato alla vita. Lavora per conto di una multinazionale a un progetto segreto e sconcertante, la ricostruzione in materiali sintetici della barriera corallina del Mar Rosso: quella vera sta morendo per l'inquinamento atmosferico. Nel limbo sognante di un viaggio di ritorno dall'Egitto, si ricompongono a ritroso le varie fasi della sua esistenza di piccolo borghese: la decadenza profonda degli anni Duemila, i soprusi e le ipocrisie di un Paese travolto dal servilismo e dalla burocrazia, il sogno illusorio di un luogo incontaminato e incorruttibile, l'Egeo. E poi, ancora indietro nel tempo, le lotte studentesche degli anni Sessanta, la scoperta dell'amore e del sesso, fino ad arrivare al mondo barbarico del dopoguerra, in cui Brandani ha vissuto gli incubi e le sfide della prima infanzia. Chirurgico e torrenziale, divagante e avvincente, "La vita in tempo di pace" racconta, dal punto di vista di un antieroe lucidissimo, la storia del nostro Paese e le contraddizioni della nostra borghesia: le debolezze, le aspirazioni, gli slanci e le sporcizie, quel che ci illudevamo di essere e quel che alla fine, nostro malgrado, siamo diventati.
La terra del Sacerdote

Negli anni ’50 gli italiani migravano in Germania per cercare occupazione, una nuova speranza. A Stoccarda si lavorava su ampi appezzamenti di terreno o in fabbrica. Non è mai una vita facile quella di chi lascia la propria terra per mettere radici provvisorie o definitive altrove. Ma è anche vero che, chi parte, lo fa per disperazione, per necessità o per inseguire un sogno. In queste pagine si parla di emigrazione e ritorno, di colpe e redenzioni. Di conti da regolare, vite da salvare. Di alberi e di amore sepolto al centro della terra. Però c’è, seppur nascosto. Paolo Piccirillo, origini casertane, ha 26 anni, ma sfoggia il talento del narratore esperto e ambizioso, che sa come costruire un intreccio perfetto, disponendo personaggi e sentimenti senza mai tradirsi. Ha voce originale e matura, inscenando una frangia umana complessa e contraddittoria. «Vivono tutti una normalità brutale e il corto circuito che racconto è una specie di tenerezza che si fa largo nelle loro vite, facendoli reagire in maniera scomposta, goffa, violenta nel peggiore dei casi. Il tremendo è normale, l’amore è eccezione. Sono stato a Stoccarda a parlare con le comunità molisane, ho visitato i loro quartieri, la fabbrica della Mercedes che oggi è un museo. Il lavoro di documentazione è onestà verso il lettore».
Non è semplice definire questo romanzo che ha il sapore ancestrale della terra, che dona frutti solo se chi la cura ha il cuore libero dal rimorso e dalla spietatezza del mondo odierno; una storia che mixa l’avventura di tre italiani a Stoccarda con un pesante segreto da tacere e il Molise più vicino al nostro tempo, tra terreni da zappare, pomodori da raccogliere e traffico illegale di neonati dati alla luce da donne dell’Est, che ne devono partorire quattro prima di potersi dire nuovamente libere. Piccirillo ha però coniato una definizione perLa terra del Sacerdote: la vendetta degli alberi. «Penso che un albero possa scegliere dove far crescere le proprie radici, non è detto che la vera terra di una radice sia quella in cui è nata. Le radici sono sopravvalutate, credo sia un meccanismo di difesa per sottovalutare il concetto di terra. La libertà di scegliersene una propria e non imposta». Accade questo ad Agapito, detto il Sacerdote, perché a Stoccarda i fedeli andavano da lui a confessare pene e dolori e lui rispondeva tentando di curare l’anima come si dovrebbe fare con una pianta. Quando la sua spiritualità si macchia, decide di fare ritorno a casa. E la terra non risponde, al di là del fatto che non gli appartenga legalmente. Dà frutti aspri o marci. Neanche l’amore lo anima. Sposato con Amalia, ora malata terminale, non prova da molto il brivido di una passione e l’unico istante in cui ha creduto di sentirsi emotivamente vivo è stato con Christina, causa dell’odierno tormento, tedesca incontrata in Germania, convinta che sia sem- pre possibile aiutare senza pretendere nulla in cambio. Non si aiuta per interesse, ma perché si ha speranza, dice lei. E lui, che ha fatto tesoro di questa massima, cercherà di applicarla per redimersi e per aiutare una di quelle giovani dell’Est, Flori, che si è messa nelle mani sbagliate per venire in Italia ed è in Italia che lotterà per rimanere: «Flori indietro non torna, perché vede la felicità più vicina dove si trova adesso, prigioniera e vittima, che nel suo passato». Agapito, invece, dovrà fare i conti proprio con il suo trascorso per potersi finalmente dire sanato e pronto a fiorire, forse per la prima volta.
Il desiderio di essere come tutti

I funerali di Berlinguer e la scoperta del piacere di perdere, il rapimento Moro e il tradimento del padre, il coraggio intellettuale di Parise e il primo amore che muore il giorno di San Valentino, il discorso con cui Bertinotti cancellò il governo Prodi e la resa definitiva al gene della superficialità, la vita quotidiana durante i vent'anni di Berlusconi al potere, una frase di Craxi e un racconto di Carver... Se è vero che ci mettiamo una vita intera a diventare noi stessi, quando guardiamo all'indietro la strada è ben segnalata, una scia di intuizioni, attimi, folgorazioni e sbagli: il filo dei nostri giorni. Francesco Piccolo ha scritto un libro che è insieme il romanzo della sinistra italiana e un racconto di formazione individuale e collettiva: sarà impossibile non rispecchiarsi in queste pagine (per affinità o per opposizione), rileggendo parole e cose, rivelazioni e scacchi della nostra storia personale, e ricordando a ogni pagina che tutto ci riguarda. "Un'epoca quella in cui si vive - non si respinge, si può soltanto accoglierla".
Storia umana e inumana

Giorgio Pressburger compie con questo libro un viaggio “dantesco”, conducendo il lettore tra figure storiche, grandi dittatori, grandi filosofi e grandi artisti, personaggi della Divina Commedia, protagonisti della contemporaneità come il camorrista Sandokan e Nelson Mandela, figure amate e rimpiante come il nonno e il fratello Nicola... Tutte le presenze del libro vengono a costituire una galleria ricchissima e sfaccettata che impone al protagonista di ripensare alla propria vita collocandola sia all’interno della storia millenaria del popolo ebraico, sia sullo sfondo del recente “secolo breve” – quel Novecento che ha segnato la sua esistenza e che più che mai si è accanito contro i valori supremi cui Pressburger nonostante tutto crede: l’amore e la libertà. Il dialogo con i morti, la riflessione sulla storia, l’analisi critica di una realtà caotica e multiforme si risolvono in visione onirica, ma soprattutto poetica: e dichiaratamente poetica è infatti la prosa di Pressburger, scandita da spazi bianchi che accennano a un ritmo di versificazione e invitano a una lettura “inattuale”, segnalando un progetto letterario contro corrente rispetto alle tendenze dominanti di questo inizio secolo.
Ovunque proteggici

In una giornata qualsiasi dei suoi cinquant’anni, Lorenzo Girosa riceve una lettera in cui qualcuno mostra di conoscere un segreto che da anni ha smesso di tormentarlo: un delitto commesso quando era poco piú che bambino. Tentando di riannodare i fili di quell’epoca remota, Lorenzo racconta della grande villa in cui ha vissuto, generosa negli spazi ma gravata dalla malasorte di casa senza figli, e della sua famiglia fatta di uomini inconcludenti e donne compromesse. È la storia del nonno Domenico che cerca fortuna in America, di suo padre Nicola che senza un mestiere e un talento diventa un rude saltimbanco chiamato Blacmàn, di sua madre Francesca che scappa di casa per andare sulla pubblicità del sapone LUX. Tutti loro rivivono nello sguardo di Lorenzo che, nascosto dietro le tende di una Villa Girosa ormai deserta, è ben determinato a proteggere quanto di oscuro c’è nel proprio passato. Con una prosa classica e una lingua di carne,Ovunque, proteggici denuncia la forza di un destino che è scelta e di un sangue che si riconosce solo nelle ferite.
Padre infedele

Il romanzo racconta le vicende di una famiglia milanese sul cui sfondo scorre lo scenario desolante di un'Italia travolta dalla crisi economica.
La crisi entra con prepotenza nell'intimità di queste persone e ne altera equilibri e rapporti: il protagonista Glauco, ci porta a vedere il suo album di foto di famiglia, da quando conosce Giulia, sua moglie, fino ai tre anni di vita di sua figlia.
C'è a chi piace vedere gli album (o i filmini delle vacanze) e a chi no. Aseguito della depressione post parto che ha reso la moglie Giulia fredda e distante, comincia a tradirla scoprendo anche al contempo le gioie e le difficoltà dell'esser padre.
La crisi che minaccia il suo ristorante e la sua famiglia gli apre così una nuova dimensione esistenziale Ad ogni capitolo Glauco non si limita a farci vedere la foto, a descriverla ma ci racconta tutto, quello che non si vede, i suoi pensieri, i suoi ragionamenti, le sue considerazioni sul mondo con lo stile tipico di Scurati ( ma sono i pensieri di Glauco, è lui il quarantenne saturnino, non Scurati anche se, guarda caso, ha anche lui la stessa età e anche altre similitudini...).
Qui si parla di famiglia, di paternità, del modo di oggi di diventare e essere padre. E' un'esperienza singola di rapporto padre-figlia con madre in sovrappiù che vorrebbe essere paradigma del rapporto nella nostra epoca in questa parte di mondo.