Scrittrici italiane

Nei meandri della mia memoria, che è molto affollata ma, per fortuna, ancora vivida, ho ripescato i nomi di alcune grandi scrittrici italiane e le ho associate a mie pasate e più recenti letture.
Stella mattutina (Ada Negri)
Io vedo – nel tempo – una bambina. Scarna, diritta, agile. Ma non posso dire come sia, veramente, il suo volto: perché nell’abitazione della bambina non v’è che un piccolo specchio di chi sa quant’anni, sparso di chiazze nere e verdognole; e la bambina non pensa mai a mettervi gli occhi; e non potrà, più tardi, aver memoria del proprio viso di allora. L’abitazione della bambina è la portineria d’un palazzo padronale, in una piccola via d’una piccola città lombarda. Nel palazzo non vi sono che due inquilini, occupanti alcune stanze del secondo piano: un vecchio pensionato, magro, con la sua governante Tereson: una vecchia signora, grassa, che ogni mese cambia domestica. Il resto è tutto abitato dai padroni: gente ricca, gente nobile. Quando rientrano in carrozza dalla passeggiata, bisogna spalancare il cancello del portone; e, siccome la nonna (custode della portineria) è troppo indebolita dagli anni, è la bambina settenne che deve farlo. Non ha mai pensato, naturalmente, che tale atto le possa essere d’umiliazione; ma non lo compie volentieri. (…) Qualche anno dopo, la bambina, diventata più grandetta, ma rimasta selvatica ed avida di mirifiche storie, trova in un ripostiglio un fascio di romanzi di Alessandro Dumas padre: da «I tre Moschettieri» ad «Angelo Pitou». Vecchi libracci, ingialliti, cincischiati, rosicchiati agli angoli, mancanti di pagine qua e là: non importa. Le è come salire in un bastimento e traversare il mare. Legge, legge, legge. Arruffa e precipita i cómpiti di scuola, per leggere. Respira nella favola. Un senso di letizia, di benessere pieno, ad ogni nuova lettura rinsanguato, si diffonde in lei…..
La Grande Festa (Dacia Mariani)

Un libro in cui il passato si intreccia al presente. Un libro che accoglie le persone care che hanno segnato la sua vita con l’amore dato e ricevuto, e oggi continuano a vivere nel “giardino dei pensieri lontani”: la sorella Yuki, il padre Fosco, il grande amore Alberto Moravia, il carissimo amico Pier Paolo Pasolini, l’ultimo compagno Giuseppe Moretti, rapito troppo giovane da una malattia crudele. Un libro intenso e appassionato che mescola affetti privati e pubblici, in cui la memoria diventa l’occasione per comprendere quanto siano unici e speciali i doni che ci vengono fatti dalle persone che amiamo. Perché chi non c’è più ha sempre qualcosa da dirci.
L’isola d’Arturo (Elsa Morante)

Arturo Gerace è un bambino che si ritrova a crescere da solo, tutta la sua infanzia e adolescenza, sull’isola di Procida. La madre morì dandolo alla luce e di lei ha solo un ritratto che conserva gelosamente. Ogni sera Arturo, armato di Atlantide, progetta i suoi viaggi futuri con lo scopo di diventare come suo padre, il suo mito, che compie misteriosi viaggi in giro per il modo (motivo dei quali non può starsene a casa con suo figlio). Crescendo, Arturo scopre l’amore. Tutto cambierà quando suo padre sposerà un’altra donna e verranno a galla tutti i segreti che faranno crollare le “certezze assolute” su cui si fonda la vita di Arturo, che tra un’illusione ed un’altra cerca di proteggersi contro il mondo, per lui racchiuso nella sua amata isola.
La Vita (Fabrizia Ramondino) (uscito due giorni dopo la sua morte)
Un uomo di mare, senza nome né radici, approda in una remota provincia del sud Italia. Un paese spaccato in due da una Via che è come il mare, luogo di traffici e di trasformazioni, di avventure e di storie che s'intrecciano. Un mondo brulicante, fitto di pettegolezzi e memorie, riti arcaici e squarci di modernità: dove a reggere le fila di tutto è donna Rosita, figura misteriosa e potente, capace di ammantare di un'aura mitica la sua spregiudicatezza e l'intera vita del paese.
L’utima casa prima del bosco (Francesca Sanvitale)
Un uomo, senza identità e senza coscienza della Storia, si immerge in un archivio condominiale vecchio di settant'anni e rimane catturato da quel formicolare di vite, quasi cercasse le radici e le ragioni di un'esistenza senza scopo. Nella sua quotidianità entrano come ventate le liti domestiche di un passato remoto, i drammi delle persone vicine ma anche i grandi drammi delle guerre di ieri e di oggi, storie che hanno composto il passato comune e che ora compongono le sue giornate.
Canne al vento (Grazia Deledda)

Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l'argine primitivo da lui stesso costruito un po' per volta a furia d'anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall'alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca Collina dei Colombi. Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d'acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent'anni di possesso e di lavoro lo
han fatto ben suo, e le siepi di fichi d'India che lo chiudono dall'alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo. Il servo non guardava al di là del poderetto anche perché i terreni da una parte e dall'altra erano un tempo appartenuti alle sue padrone: perché ricordare il passato? Rimpianto inutile. Meglio pensare all'avvenire e sperare nell'aiuto di Dio. E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno faceva ricoprir di fiori tutti i mandorli e i peschi della valle; e questa, fra due file di colline bianche, con lontananze cerule di monti ad occidente e di mare ad oriente, coperta di vegetazione primaverile, d'acque, di macchie, di fiori, dava l'idea di una culla gonfia di veli verdi, di nastri azzurri, col mormorìo del fiume monotono come quello di un bambino che s'addormentava...
Le parole tra noi leggere (Lalla Romano)
Questo romanzo - che può essere definito autobiografico, psicologico, che nell'analizzare la crescita del figlio diventa romanzo di formazione - è, in una parola, poliedrico. L’io narrante è una mamma, la stessa Lalla Romano per intenderci, sottile, quasi spaventata dal confronto, attenta ai piccoli dettagli, osservatrice precisa e quasi maniacale, che racconta suo figlio, il loro rapporto conflittuale, la lotta, la differenza, l'astio, la rivolta tra i due. P., il figlio protagonista, è sin da bambino un anarchico, indisponente, contemplativo, ermetico, intelligente, svogliato, testardo, arrabbiato persino. È un personaggio soprattutto polemico, in particolare con la madre - che invece appare apprensiva, intellettuale, viscerale -, e per questo è accattivante. Definito sin da bambino poeta, filosofo, pittore, nasconde in sé tutti i modi di essere che saranno formativi e corazze coriacee contro gli altri, contro la mamma.
Nella descrizione del carattere e degli atteggiamenti del figlio, non mancano da parte dell’autrice piemontese spazi di analisi introspettiva, i quali, a loro volta, si rifletteranno sulla descrizione del figlio. E la profondità freudiana che ne deriva è brillante, carica di veemenza, esplosiva; non c'è posto per il compromesso, per la finzione. È assente del tutto, infatti, l'aspetto del gioco, della dissimulazione, mentre è solamente palese la natura intima della confessione. Si consuma così un’autobiografia viscerale, straziante quanto lucidissima.
Ti ho sposato per allegria (Natalia Ginzburg)

Pietro e Giuliana sono sposati da una settimana, dopo solo un mese che si conoscono. Pietro, avvocato, è di solida condizione sociale, abituato a una vita borghese, pacata e regolare, mentre Giuliana è una spiantata, indolente e pasticciona, scappata di casa a diciassette anni, un po' svitata ma molto simpatica. Riuscirà a durare il loro matrimonio? Supererà la prova del fuoco di un pranzo «di famiglia» con la madre di Pietro?
Niente e così sia (Oriana Fallaci)

«La vita cos’è, Francois?» «Non lo so. Ma a volte mi domando se non sia un palcoscenico dove ti buttano di prepotenza, e quando ti ci hanno buttato devi attraversarlo, e per attraversarlo ci sono tanti modi, quello dell’indiano, quello dell’americano, quello del vietcong…» «E quando l’hai attraversato?» «Quando l’hai attraversato, basta. Hai vissuto. Esci di scena e muori.» «E se muori subito?» «È lo stesso: il palcoscenico puoi attraversarlo più o meno alla svelta. Non conta il tempo che ci metti, conta il modo in cui lo attraversi. L’importante, quindi, è attraversarlo bene.» «E cosa significa attraversarlo bene?» «Significa non cadere nel buco del suggeritore. Significa battersi. Come un vietcong. Non lasciarsi sgozzare, non addormentarsi al sole, non paralizzarsi nella puntura, non chiacchierare e basta come fanno gli ipocriti e, tutto sommato, anche noi. Significa credere in qualcosa e battersi. Come un vietcong.» «E se sbagli?» «Pazienza. L’errore è sempre meglio del nulla.»